Cosa succede nella mente e nella quotidianità di una persona che riceve un diagnosi oncologica. Percorsi e prognosi.
La malattia rappresenta per ogni persona una minaccia per l’integrità psico-fisica, perciò la reazione che solitamente si osserva in seguito ad una qualunque diagnosi grave corrisponde ad un vero e proprio “shock da trauma”, che dà luogo ad una transizione dall’idea di sé come persona all’idea di sé come malato, con una traiettoria di vita incerta e con un corpo che può “tradire” (Costantini. Leverson, Bersani, 2014)
Il concetto di crisi è collegato a quello di trauma che nel 2002 è stato definito dall’OMS come “il risultato mentale di un evento o una serie di eventi improvvisi ed esterni, in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento”. In oncologia il trauma arriva dall’interno, dal corpo, all’inizio non c’è un «piccolo tumore» ma a livello emotivo c’è il tumore e la paura di morire che è come una condanna (la cosiddetta sindrome della Spada di Damocle).
Sono state identificate cinque fasi di reazione alla crisi (Kubler-Ross, 1969) che non si presentano in modo sequenziale ma rappresentano momenti diversi di un processo oscillante.
FASI DI REAZIONE ALLA CRISI
LA NEGAZIONE, IL RIFIUTO
LA RABBIA, LA COLLERA
LA FASE DELLA CONTRATTAZIONE O DEL PATTEGGIAMENTO LA DEPRESSIONE: reattiva, preparatoria
LA FASE DELL’ ACCETTAZIONE
Fase della Negazione/Rifiuto
È la fase iniziale in cui si assiste al rigetto della realtà: il paziente ritiene impossibile di essere affetto dalla neoplasia. La negazione di malattia è stata definita come un meccanismo di difesa che permette di prendere le distanze da una realtà minacciosa e preoccupante, “un rifiuto conscio o inconscio di una parte o di tutto il significato di un evento per allontanare la paura, l’ansia o altri effetti spiacevoli” (Jackett et al., 1968).
In studi condotti su donne con cancro al seno si rileva un’associazione positiva tra la negazione degli effetti della malattia (ovvero tutti i cambiamenti e le conseguenze negative derivate dalla presenza della neoplasia) ed i livelli interiori di sofferenza emotiva (Meyerowitz et al., 1983) ma anche un minore livello di ansia e di disturbi dell’umore (Watson et al., 1984).
La negazione che si accompagna ad una “distorsione” della realtà aiuta a ridurre il senso di sopraffazione (Moyer et al., 1998), di disperazione, di paura, di impotenza che si provano al momento della diagnosi, contribuendo a preservare un’immagine positiva di sé e l’autostima (Livneh, 2009). Nello studio di Butow et al. (2000) le pazienti che utilizzano la negazione come strategia di difesa presentano un cancro meno aggressivo ed hanno una minore probabilità di metastasi, sperimentano una diminuzione della sintomatologia ed una migliore qualità della vita. Non sono chiari i motivi in grado di spiegare il decorso più favorevole. È possibile che la negazione della malattia protegga il paziente dall’esperire sentimenti negativi di depressione o demoralizzazione, sentimenti che agiscono negativamente sulla prognosi della malattia (Fava et al., 2007). Questo meccanismo di difesa con il progredire della malattia dovrebbe diventare sempre più debole, se tuttavia la persona si irrigidisce in tale condizione può indurre comportamenti e atteggiamenti che vanno a peggiorare lo stato di salute. Tra le ripercussioni della negazione della malattia c’è il trascurare i sintomi e il loro significato, il non rispettare l’aderenza alle terapie o ritardare i controlli medici (Wool et al., 1986).
Fase della Rabbia, della Collera
In questa fase cominciano a manifestarsi emozioni forti come la collera e la paura. Una domanda tipica di questa fase è: “perché proprio a me?”. È una fase delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente che corrisponde alla ricerca di un modo per uscire dalla sensazione di impotenza esordita dopo aver ricevuto la diagnosi.
Fase della Contrattazione o del Patteggiamento
In questa fase la persona comincia a pensare a cosa può fare e in quali progetti può orientare ed investire la speranza; cerca di riprendere il controllo della propria vita e di riparare il riparabile: “se prendo le medicine, potrò..”, “se guarisco, poi farò..”.
Fase della Depressione
La persona comincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o sta per subire e affronta la realtà. Sentimenti di abbattimento del tono dell’umore si manifestano in maniera intensa quando la malattia progredisce e il livello di sofferenza aumenta.
La fase della depressione può essere distinta in depressione reattiva e preparatoria. La depressione reattiva è legata ad un vissuto di perdita, è connessa alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea e a volte delle proprie relazioni sociali, sono andati perduti. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia il malato non nega la sua condizione e quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più è probabile che vada incontro a fasi depressive.
Fase dell’Accettazione
Questa fase non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, ma può esordire in un tempo precedente. Nella fase della prima diagnosi il paziente ha potuto superare la condizione di shock e rifiuto. Nella fase pre-terminale e terminale il paziente può elaborare e arrivare ad un’accettazione della propria condizione e alla consapevolezza di quanto sta per accadere. È il momento dei saluti e della restituzione a tutti coloro che gli sono stati vicini.
L’ansia, che insieme alla depressione costituisce quello che viene definito distress, accompagna i pazienti oncologici lungo tutto il decorso della malattia. Entro certi limiti è una risposta normale, tuttavia quando l’intensità delle emozioni diviene eccessiva, le reazioni diventano relativamente indipendenti dallo stimolo stesso, e devono essere trattate per evitare di minare ulteriormente la capacità di reazione a livello psicologico, sociale e relazionale. Il permanere di queste emozioni disfunzionali ad alti livelli di intensità può portare ad un vero e proprio disturbo dell’adattamento: l’insorgenza di una sintomatologia depressiva con abbattimento del tono dell’umore e la demoralizzazione secondaria dovuta ad un accumulo di eventi stressanti.
I fattori di rischio per sviluppare un disturbo psicopatologico sono influenzati dall’età del soggetto, dallo stadio della malattia (iniziale o avanzato), dalla prognosi (ad es. una prognosi infausta), dal livello di adattamento precedente a situazioni di malattia (stili di coping del paziente), dal significato della minaccia esistenziale; da fattori culturali e religiosi, dall’assetto psicologico e di personalità. Rispetto ai tratti di personalità è stato osservato come pazienti iper-vigilanti, controllanti e ossessivi, possono non accettare di perdere la gestione completa di sé e del proprio corpo, oppure soffrire particolarmente la mancanza di risposte precise a tutte le domande.
I pazienti con tratti dipendenti, invece, possono aver bisogno di un costante supporto, ancor più che in situazioni di normalità, finendo per “aggrapparsi” ai familiari o al personale medico ed infermieristico e provocando la loro reazione negativa o rabbiosa, che li può far sprofondare in un senso di solitudine e incapacità (Biondi, Costantini, Wise, 2014).
Altri fattori di rischio possono essere: una pre-comorbidità psichiatrica, episodi depressivi o sintomatologia ansiosa nella storia del paziente e uno stato di isolamento sociale.
La famiglia
La malattia oncologica coinvolge tutta la famiglia, è come se si ammalassero tutti, ognuno con il proprio vissuto, ognuno con il proprio ruolo che sia un genitore, un figlio, un coniuge, un fratello.
In base alle dinamiche familiari già presenti, si possono presentare sintomi ancora più acuti, in alcuni casi, invece si ridimensiona il ruolo di ognuno e ci si concentra sulla persona malata con modalità più sane e costruttive, rispettando i tempi della stessa, dando disponibilità discreta.
Il ruolo dello psicoterapeuta in questo caso è quello di coinvolgere la famiglia nella sua interezza, ovviamente con l’autorizzazione del paziente primariamente coinvolto, il quale detterà le nuove regole della famiglia richiedendo un aiuto concreto e costruttivo, certamente a seconda della prognosi della malattia.
Nel caso di una diagnosi infausta, il paziente, con l’aiuto dello psicoterapeuta, potrà mettere in atto richieste specifiche rispetto ad un futuro al quale il paziente stesso non potrà partecipare, nel caso in cui ci fossero dei figli e/o delle proprietà comuni, oltre che ipotizzare dettagli relativi al proprio funerale e modalità di tumulazione.
I tempi della malattia oncologica
Sulla base dei meccanismi di difesa e delle fasi identificate precedentemente, ogni paziente prende coscienza del senso del tempo a seconda della fase in cui si trova. Inoltre, non tutti i pazienti attraversano le fasi secondo quanto elencato. Alcune non le vivono per nulla, altre le attraversano velocemente, altre ancora diventano potenzialmente croniche. Ecco perché il senso del tempo di malattia e terapeutico sono assolutamente personali.
Sicuramente i protocolli oncologici scandiscono un tempo dettagliato. I primi esami, la stadiazione, la chemioterapia, la chirurgia, permettono ai pazienti di prendere coscienza di ciò che sta accadendo realmente e come poter affrontare tutto ciò con l’aiuto dell’oncologo e del personale sanitario coinvolto nel reparto a cui si affida.
Alcuni pazienti, condizionati dalla famiglia o da altre figure, in alcuni casi, ad un certo punto della chemioterapia, cambiano oncologo e/o ospedale in quanto viene meno la fiducia e il sentirsi a proprio agio e protetti nell’ambiente terapeutico. In queste occasioni, il paziente, con il suo faldone di documenti, si trova a dover rivivere nuovamente le stesse emozioni iniziali affidandosi in maniera salvifica alla nuova equipe medica, a volte, trovandosi deluso dalle aspettative investite sul nuovo medico.
Al contrario, alcuni pazienti, finiti tutti i cicli di chemioterapia, in vista di un eventuale intervento o di un follow up a lungo termine, vivono una sorta di lutto e distacco dal personale sanitario a cui si sono affidati. Si tratta di un momento di importante cambiamento nel quale, con tanta fatica il paziente ha preso coscienza della malattia e improvvisamente si trova sano e dimesso dal reparto. La personalità del paziente può strutturare momento di depersonalizzazione da persona malata a sana.
Durante il percorso chemioterapico, il paziente ha l’occasione di conoscere altre persone con la stessa patologia o con patologie diverse, con cui trascorre molte ore condividendo i segnali di allarme della pompa di infusione, quando finisce una flebo, l’arrivo dell’infermiere per il cambio del farmaco, il momento in cui un altro paziente può sentirsi male nel corso dell’infusione. Questi sono momenti in cui si crea un’intimità che coinvolge la quotidianità anche prima e dopo le sedute di chemioterapia. Di solito, ci si scambia i numeri di telefono. Si crea a volte un gruppo su WatAapp in cui si condividono momenti difficili, sintomi e prognosi. È un’occasione per sentirsi meno soli e più compresi.
Purtroppo, ci saranno anche momenti di grande sconforto, nel momento in cui, un componente del gruppo, non risponde più ai messaggi e preoccupati si cercano notizie in reparto o tramite altre conoscenze.
Le fasi della malattia oncologica sono a volte protratte nel tempo e spesso si possono subire lutti familiari e non solo che possono indurre il paziente ad una sindrome ansioso depressiva anche non prevedibile con conseguenti sintomi psicosomatici e acutizzazioni degli effetti collaterali della chemioterapia. In questo caso, lo psicoterapeuta può essere fondamentale per aiutare il paziente ad elaborare i lutti nel più breve tempo possibile e portare il paziente ad una consapevolezza e un distacco emotivo dall’evento scatenante i sintomi depressivi emersi recentemente. Per esempio dando parola al defunto, coinvolgendo il paziente in un pensiero di forza e speranza. “E’ importante che ora tu combatta la malattia in memoria e in onore di chi non c’è più”, “Cosa ti direbbe in questo momento la persona che non ha vinto contro il cancro?”. Un altro esempio potrebbe essere quello di differenziare in modo pressoché oggettivo, la differenza di prognosi tra il paziente deceduto e la persona che chiede aiuto allo psicoterapeuta e che è ancora in fase chemioterapica.
In conclusione, la diagnosi, la prognosi e i tempi clinici sono vissuti in modo assolutamente personale da qualsiasi paziente, in base all’età, alla condizione culturale, sociale e familiare. La psicoterapia permette a chi si affida in un percorso di questo genere, di elaborare passo per passo, in tempi brevi ogni vissuto, sintomo e/o evento che possa condizionare il percorso terapeutico del paziente che sia di natura chemioterapica, radioterapica e/o chirurgica.